Coltivazione Cannabis: quando non è reato?

La domanda di partenza è: coltivare stupefacenti: è reato? In linea di massima, coltivare sostanze stupefacenti è reato. Lo dice chiaramente la legge: chiunque, senza apposita autorizzazione ministeriale, coltiva, produce, fabbrica, commercia o consegna stupefacenti, è punito penalmente con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da 26mila a 260mila euro [1].

L’unica condotta non punita penalmente dalla legge è l’uso personale della droga: chiunque viene trovato in possesso di sostanza stupefacente che, per quantità e modalità di detenzione, fa presumere che siano destinata al consumo personale, non commette reato ma solamente un illecito amministrativo, come la revoca del porto d’armi o della patente.

Il ministero ha emanato delle apposite tabelle che specificano il quantitativo massimo di sostanza stupefacente che si può possedere per non incorrere nel reato di detenzione di droga al fine di spaccio. In altre parole, chi possiede sostanze stupefacenti entro i limiti fissati dal governo, non sarà perseguibile penalmente, in quanto si presumerà che la droga sia per uso personale.

Secondo le tabelle del ministero [2], la quantità massima (in termini di principio attivo) detenibile per evitare di incorrere in responsabilità penale è pari a: 250 mg di principio attivo nel caso di eroina (circa dieci dosi); 750 mg di principio attivo nel caso di cocaina (pari a circa cinque dosi); 500 mg di principio attivo nel caso di cannabis, marijuana, hashish (equivalenti all’incirca a 35 – 40 spinelli confezionati); E così via… In pratica, chi viene trovato con tali quantità di droga (espressa in principio attivo, si ricordi), non può essere accusato del reato di spaccio di sostanze stupefacenti poiché si tratta di dosi ritenute idonee all’uso personale.

Vediamo ora se coltivare marijuana è reato Fino a qualche tempo fa, la coltivazione di marijuana (o qualsiasi altro tipo di droga) avrebbe costituito un reato anche se realizzata per l’uso personale quando veniva accertata l’effettiva capacità della sostanza di produrre un effetto drogante.

Secondo però qualche sentenza [3], non c’era reato se il giudice accertava la concreta inoffensività della sostanza coltivata, ossia se non c’era alcun pericolo di di ulteriore diffusione. Questo principio, in precedenza solamente “sussurrato”, è divenuto oramai l’orientamento da seguire grazie alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [4].

Secondo la Corte devono ritenersi escluse dalla punibilità penale le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.

Alla luce della nuova sentenza della Corte di Cassazione, possiamo dunque sostenere che, accanto alla detenzione di droga per uso personale e al consumo di gruppo, una nuova condotta inerente alle sostanza stupefacenti non è più punibile: quella di coltivazione di piante da cui è estraibile la droga, purché tale coltivazione sia di dimensioni ridottissime, tale da poter far ritenere sin da subito che la sostanza stupefacente non possa essere spacciata ma sia destinata solo all’uso personale.

Nel caso affrontato dalla sentenza della Corte di Cassazione la coltivazione riguardava solamente due piante di marijuana (una alta un metro con diciotto rami, l’altra alta 1,15 metri con venti rami). Dunque, d’ora in avanti non significa che chiunque potrà coltivare droga, ma che, se la coltivazione è episodica, marginale e ridottissima, non si finirà in carcere (resta, invece, l’illecito amministrativo).

[1] Art. 73 d.P.R. n. 309/1990.

[2] D.M. dell’11 aprile 2006.

[3] Cass., sent. n. 12198/19.

[4] Cass., Sezioni unite penali, informazione provvisoria n. 27 del 2019.